di Stefano Cobianchi
Questo virus ci sta dimostrando che il nostro sistema moderno di vita non è sostenibile. E che la natura, se vuole, puo’ farci sparire in un solo colpo. Altrettanto di colpo, siamo stati chiamati a riorganizzare le nostre vite e ad adattarci a un cambiamento imposto dal basso, dal microcosmo, da una forma di vita del mondo invisibile che minaccia di toglierci il respiro e di affogarci.
Chi ha studiato biologia, come chi semplicemente non ha perso lo sguardo verso le cose invisibili del mondo, riconosce che ogni evento naturale, ivi inclusa la nostra esistenza come quella di un virus, fa parte di un unico ecosistema che continuamente si autoregola per mantenere una certa omeostasi, ovvero un equilibrio tra tutte le parti. Il nostro mondo invisibile oggi ha preso il sopravvento, e siamo chiamati a dargli l’importanza che gli avevamo negato. Negando l’inquinamento, i disastri ambientali, le torture inflitte agli animali e agli esseri umani, non curandoci del cambiamento climatico ormai arrivato a livelli quasi irreversibili, la Cina davanti e tanti paesi a seguire, questo virus significa il blocco stesso a cui ci siamo costretti: mentre il capitalismo fallisce e l’economia collassa, l’inquinamento si normalizza in Cina e nel nostro paese. L’aria è già buona, ma siamo costretti a portare la mascherina a causa della nostra non curanza.
Parlo dell’incuranza per il mondo invisibile, quello del virus come quello costituito da tutto ciò che ogni momento ci accade, e che accade intorno a noi senza che noi lo vediamo, ma di cui ne subiamo gli effetti e le dirette conseguenze. Questo mondo è il nostro inconscio, quello personale fatto del nostro Dna e delle infinite funzioni del corpo e della mente, fatto cioè di tutto ciò che in noi esiste e accade ma che non sentiamo e non conosciamo. Tutto ciò puo’ emergere alla coscienza d’improvviso, sottoforma dei sintomi di un raffreddore come nelle emozioni incontrollate, o nelle immagini di un sogno, o ancora nell’intuizione e già nella consapevolezza di qualcosa che era lì da tempo ma che un momento fa ignoravamo.
Questo mondo è anche l’inconscio collettivo, quello a cui ogni inconscio personale è collegato e in cui è immerso assieme a tutti gli altri, quello che come specie umana ci rende un unico organismo vivente, un sistema-mondo, e che fa diventare l’esperienza di un altro essere vivente una nostra conoscenza, che fa risuonare la tristezza di un’altra persona nel nostro corpo, che influenza della scelta di uno il destino dell’altro. Per averla esclusa della nostra vita, quest’influenza siamo oggi costretti a viverla come virale: come qualcosa di pericoloso che ci puo’ contagiare in qualsiasi momento, e che portiamo dentro senza rendercene conto, influenzando pure gli altri. Questo potere, oggi capiamo che ci è sempre appartenuto ma che l’avevamo rimosso, come il mondo invisibile e inconscio che portiamo dentro e che abbiamo a lungo ignorato.
In una società in cui siamo stati educati a non pensare al nostro mondo interiore, a cancellare coi farmaci i suoi segnali e a dedicarci a coltivare solo l’apparenza, il mondo esteriore, questo virus emerge da dentro e ci soffoca, ci toglie il respiro, ci annega perché vuole essere ascoltato e vuole dirci che è il mondo interiore quello che ci fa vivere e respirare. E in una società in cui educhiamo nelle scuole e nelle università i nostri figli al successo e al profitto individuale, a pensare a se stessi a scapito dell’altro, questo virus ci ha mandato un messaggio chiaro: dobbiamo riprenderci la nostra responsabilità interiore per gli altri, recuperare il nostro senso civico interno, l’inconscio collettivo che determina il senso di appartenenza alla comunità, che oggi non è una squadra né una città o una nazione, ma è il mondo intero. Il virus ci obbliga a sentire che c’è un collettivo di cui facciamo parte, c’è qualcosa di invisibile e di più grande di cui prendersi cura oltre che della nostra casa e dei nostri beni di lusso, qualcosa che a sua volta si prende cura di noi: il genere umano. Questo virus ci impone la responsabilità condivisa che abbiamo trascurato, ci spinge a sentire che dalle nostre azioni dipendono le nostre sorti insieme a quelle degli altri.
In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo tutto il giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza onorare le feste e i rituali, da un momento all’altro la natura ci impone di fermare tutto. Fermi, a casa, giorni e giorni. Questo virus ci vincola, a rimettere insieme mamme e papà con i propri figli, a collaborare con i propri vicini di casa. Ci costringe a rifare la famiglia, a passare il tempo insieme con chi non siamo più abituati a stare a furia di desiderare sempre tutto ciò che non abbiamo, e persino il tempo stesso di cui avevamo perso il senso in questo eterno scappare. Adesso è proprio con il tempo che dobbiamo fare i conti: se non è più il denaro, qual è il suo reale valore? Sapremo capire come spendere questo tempo che il virus, in realtà la natura stessa, ci sta offrendo adesso per noi stessi e per i nostri cari? Sapremo comprendere che tutto il tempo della nostra esistenza è un grande regalo?
Questo virus colpisce il mondo in questo momento storico, dimostrandoci che il sovranismo, e tutte le politiche discriminatorie che richiamano al razzismo, vanno contro la nostra stessa esistenza. Questo virus ci sta facendo sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare noi i discriminati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Basta un colpo di tosse nella strada che siamo allontanati, basta un segno di sofferenza che veniamo segregati. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, ricchi e occidentali. In questa società in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono state giocate prevalentemente nell’individualismo, nel non-spazio della realtà virtuale, di internet e dei social network, dando a tutti l’illusione della vicinanza mentre ci segregavamo nei nostri uffici e in appartamenti sempre più stretti, il virus ci ha tolto lo spazio reale e la vicinanza vera, obbligandoci a vivere distanti senza toccarci. Torneranno a mancarci i gesti umani semplici come la stretta di mano, il bacio e l’abbraccio? Capiremo finalmente lo squallore del mondo virtuale che abbiamo creato e dentro al quale ci siamo ingabbiati? Torneremo a desiderare di vederci di persona, di incontrarci in mezzo a un prato o di passeggiare insieme e far l’amore in mezzo a un bosco?
