di Stefano Cobianchi
Quella che noi chiamiamo comunemente “ansia” è una tensione apprensiva che è normalmente presente in ogni persona, e serve ad avvertirla proprio di un imminente cambiamento, aumentando produttivamente la sua attivazione o arousal allo scopo di impegnare maggiori energie per fronteggiare una certa situazione, risorse che rimarrebbero altrimenti inutilizzate. Quando l’ansia viene percepita come “angoscia” o comunque si produce come blocco, sofferenza o agitazione per un qualche senso di pericolo o minaccia, essa si differenzia dalla normale paura in quanto diventa “diffusa”, costante e priva di confini, poiché prodotta in situazioni indefinite o sproporzionate all’eventuale pericolo.
Non è facile rendersi conto di quali siano le ragioni che determinano l’eccessiva ansia e un attacco di panico. E’ però chiaro che la nostra ansia introverte quell’energia buona di attivazione, cioè la rivolge verso l’interno e la trattiene dentro di noi, invece di rivolgerla verso l’esterno e di farcela agire proprio per attuare quel cambiamento. Così viviamo l’ansia come un blocco, ripetendo quegli eventi minacciosi nella nostra immaginazione con un grande dispendio di energie mentali, cercando in questo modo di spendere dentro di noi le grandi energie che la psiche aveva predisposto al cambiamento, e che invece così rimangono bloccate.
L’introversione qui assume il significato di una difesa dell’immagine del proprio “essere” dagli stimoli ambientali, che minacciano la nostra coscienza. In altre parole, le varie forme di ansia eccessiva si manifestano attraverso dei sintomi che rappresentano simbolicamente il modo in cui la psiche segnala il blocco energetico attivo, la sua origine e il suo significato, nonché il comportamento che dovremmo attuare per adattarci al cambiamento e proprio per cessare l’ansia e ritornare a uno stato funzionale e al flusso armonico dell’energia nel corpo. L’obiettivo principale della terapia dell’ansia è riportare l’attivazione ansiogena verso il suo scopo, cioè l’azione specifica che serve per attuare il cambiamento richiesto, non azioni generiche né la negazione dell’azione. Ciò puo’ avvenire attraverso l’esecuzione di compiti analitici utili a comprendere quale sia l’oggetto da cui la mente si difende, e di tecniche ed esercizi utili a spostare la riflessione fuori dal corpo, trasformandola in una azione funzionale e finalizzata.
Di seguito elenco i principali sintomi generati da un’ansia eccessiva, insieme ad alcuni metodi per iniziare a curarla insieme a uno psicoterapeuta.
– Paralisi o blocco: se non riuscite a far niente, se vi passa la voglia o avete paura di spostarvi, sappiate che la vostra è una reazione che negli animali si osserva come “despair” (paralisi per disperazione), per cui l’animale smette di tentare la fuga dalla situazione ansiogena e rinuncia a sperare e ad aspettarsi di potersi salvare da solo, rendendosi conto della propria incapacità e pure colpevolezza. La paralisi rappresenta quindi l’incapacità di risolvere un conflitto interiore, che trova nell’immobilità un cambio estremo di strategia nella direzione dell’altro, ovvero non si aspetta più di trovare la soluzione dentro se stessi ma si aspetta un intervento dall’esterno, una soluzione miracolosa. Come sintomo corporeo, è vissuto come un blocco di energie che non fluiscono e restano intrappolate alla fase di immaginazione e pianificazione, non potendo passare a quella di movimento, azione e risoluzione di ciò che è immaginato anche con buone intenzioni. Il corpo o una parte di esso, che simbolicamente rappresenta l’azione e lo scopo la cui esecuzione dimostra il locus psichico del conflitto, risultano allora bloccati, spossati o ammalati. Ad esempio, un problema o una pesantezza alle gambe simbolizza un conflitto a camminare cioè “andare avanti”, andare oltre un certo trauma o ricordo. Un blocco della voce puo’ invece simboleggiare un conflitto nell’esprimere i propri bisogni, nel farsi sentire o anche semplicemente nel comunicare le proprie emozioni. Come disagio psichico, puo’ essere descritto come un “blocco psicologico”, letteralmente “non riesco a far parlare la mia anima”: ciò indica che la paralisi è a un livello ancora precedente quello di pianificazione, cioè di produzione e ideazione dell’azione risolutrice. Esprime in questo senso il bisogno di farsi “guidare” (l’anima è qui intesa come la funzione-guida dell’individuo), e la necessità che qualcun altro guidi l’istinto, la sensazione e il sentimento, verso il pensiero e l’ideazione, e viceversa che ricolleghi e integri insieme queste funzioni disconnesse e scotomizzate.
Per elaborare la simbologia del vostro blocco psicologico, potete iniziare con il chiedervi: “Quale parte del corpo sento bloccata o ammalata”, “Dove sento che l’energia è trattenuta o viene a mancare?”, “Cosa sento quando sono bloccato?”, “Cos’è che mi blocca?”;
Qui entriamo nell’educazione emotiva, cioè nella necessità di imparare a riconoscere le proprie emozioni e contattarle, invece di rimuoverle e bloccarle. Ogni seduta con lo psicoterapeuta qui inizierebbe con una precisa domanda: “Come sto?”o “Cosa sento?”);
Attraverso una analisi del sintomo come simbolo, si puo’ riuscire a visualizzare il problema, a dargli un nome e a contattarlo; varie tecniche analitiche mutuate dalla psicologia della Gestalt (come lo psicodramma o il gioco della “sedia vuota”) mirano a questo processo.
In pratica, si deve poter accettare le proprie paure e debolezze; si deve arrivare a comprendere che si ha diritto ad averle e che esse sono funzionali a uno scopo positivo, per cui si puo’ iniziare a individuare quale sia questo scopo.
Altre domande utili per elaborare le origini del vostro blocco ansioso possono essere: “Cosa è che mi fa esitare?”, “Cos’è che non oso dire o fare nella mia vita? E perché?”, “Cosa è giusto che io faccia?”, “Cosa voglio davvero? E cosa non voglio?”. Queste domande iniziali sono utili per prendere coscienza delle proprie paure e reclutare il coraggio di affrontarle.
Per iniziare a smuovere il blocco, si puo’ lavorare sull’immagine dell’osare: a fare le cose di cui si ha paura e gradualmente sperimentarle, verificandone la natura e chiedendosi “Qual’è la cosa peggiore che potrebbe capitarmi? e se mi capitasse, cosa potrei fare?”. Sembra stupido, ma se lasciati agire, gli immaginari di pericolo ci bloccano, mentre se vengono affrontati in un dialogo con se stessi essi iniziano a sembrarci stupidi ed esagerati, perché iniziamo a sentirci “diversi”, iniziamo a vederci con gli occhi degli altri o con altri occhi.
Inoltre, appena la mente ha una soluzione sottoforma di una nuova immagine affiorata, essa scioglie il blocco e la tensione per l’immagine precedente.
In questi casi, sono molto utili le tecniche di respirazione e di rilassamento dello yoga e della meditazione. Con l’aiuto di un analista si possono elaborare tecniche di immaginazione guidata nella respirazione, immaginazione attiva e la successiva analisi delle immagini transitate nella mente.
Lo psicodramma puo’ aiutare a ricordare se in passato o nell’infanzia c’è stata una situazione o un evento in particolare in cui si ha avuto la stessa paura, per identificarla e poi affrontarla con la guida del terapeuta.

– Panico: da Pan (come pan-demìa!), dio della natura, delle forze arcaiche e istintuali. Egli è presente in tutti quei comportamenti e quelle immagini intrisi di una forte connotazione terrena e tenebrosa. L’esperienza di Pan sfugge al controllo egoico della persona, ricordando che c’è dell’altro oltre l’Io, qualcosa che può avere una forza tale da soverchiarlo e farlo cadere nel panico. Quando si perde il contatto con la natura, questa forza torna a noi sotto forma di un qualcosa di incontrollabile e sopraffacente. Nella nostra cultura, il dio caprino che personizza questo moto psichico ha preso il nome di Diavolo e puo’ essere visto come tale. Pan allora si personizza in noi e, come lui, e gridiamo spaventati per avere conforto. Si manifesta quando viene a mancare l’ascolto di una voce interiore, che ci richiama al nostro mondo interno naturale. Pan ha lo scopo e la capacità di riconnettere il “dentro di noi” con il “là fuori”, l’istinto e la natura, ciò che è bello e amorevole con ciò che è terrificante, ripugnante, doloroso ed imprevisto.
Perciò per elaborare il panico, bisogna dare ascolto alla voce interiore che porta alla coscienza la reale natura del nostro problema, allo scopo di riconnettere l’io con il mondo interno ed esterno, nonché il proprio istinto con la natura e l’ambiente in cui si vive. Lo scopo è quello di raggiungere la dicotomia tra il modo di essere che non è stato accettato, le esperienze brutte e dolorose con il bello di sé, della propria vita e della natura, e reintegrarla.
– Agorafobia: si chiama così la paura di sentirsi male in luoghi o situazioni che si considerano come insicure, lontano da un luogo o da una persona che invece si ritengono sicuri e controllate. Il soggetto perciò si confina in casa o dove si sente al sicuro, laddove ha creato una “zona di comfort” sempre più restrittiva, arrivando a limitare le attività personali e sociali. L’agorafobia sta diventando, insieme alla fobia sociale, il sintomo più diffuso in quanto purtroppo giustificato dalle stesse raccomandazioni delle istituzioni di stare in casa più tempo possibile. Questo sintomo è in realtà collegato alla paura di essere messi alla prova da una o più persone, o da una serie di eventi, che vengono previsti come potenzialmente minacciosi. La minaccia è nel confronto che essi imporrebbero al soggetto nello stare in quel luogo e con quelle persone in quella situazione, confronto che il soggetto vuole evitare come quello con il Covid, cioè come una prova che non vuole rischiare di sbagliare. Nasconde perciò una paura di giudizio e una bassa autostima. Altrove il sintomo, come nelle fobie, puo’ simbolicamente rappresentare una situazione di un luogo o di un evento che sono stati percepiti come traumatici o fuori controllo per il soggetto, e su cui egli ha “spostato” il significato rimosso poiché emotivamente conflittuale. Qui l’ansia scaturisce dalla anticipazione della ripetizione simbolica di quell’evento o situazione che il soggetto non fu in grado di accettare e di elaborare con le proprie risorse risolvendone il conflitto al momento Il soggetto invece lo rimuove, e continua inconsciamente a riviverlo, immaginarlo e percepirlo come minaccioso o doloroso. E ricordiamoci che si puo’ stare in condizioni sicure rispettando le norme anti-Covid anche fuori, ad esempio passeggiando nella natura o giocando in un parco. Qui potete indagare se c’è stato un evento traumatico o di perdita del controllo nel vostro passato. Potete chiedervi: “Cosa significa per me il confronto con le persone e le situazioni che sto evitando?”, e lavorare sul significato del conflitto sottostante. Il terapeuta proverà inoltre ad analizzare il vantaggio disfunzionale che avete raggiunto nel mantenere il sintomo e il comportamento restrittivo, e lavorare con voi per eliminarlo, sostituendolo con i vantaggi e le risorse funzionali che invece voi acquistereste nell’abolirlo. Una strategia puo’ essere quella di aumentare le risorse personali e di rete sociale volte al conseguimento del piacere, come attività e hobbies, interessi personali, amicizie, sport, viaggi, partner, animali da compagnia, riscoperta della natura. potete provare a lavorare anche a una esposizione graduale e guidata agli oggetti e alle situazioni che sono per voi fonte di ansia ed evitati.
– Nodo alla gola: si rifà alla respirazione, al parlare, alla gola, come luogo che si stringe e funzione che diventa deficitaria, affannosa. Essendo la gola il punto di contatto tra la mente e il corpo che permette che si formi la parola e fluisca il linguaggio, essa rappresenta il confine psicosomatico dell’ “angoscia”, rimanda alla gola (dal tedesco angst). Se la mascherina vi sta stretta e vi sentite soffocare, potete elaborare l’ansia concedendole spazio e respiro, confrontandovi con la “strettezza” che impone al fine di ampliarsi, concedere il transito suo linguaggio, permettere il passaggio della sua energia dalla mente nel corpo. Un cappio alla gola o un bavaglio vogliono infatti bloccare l’energia che normalmente fluisce attraverso la bocca, che simbolicamente rappresenta il “parlare” spontaneo della propria anima. Qui il compito è proprio quello di imparare a parlare e insieme respirare. Sono molto utili le tecniche di rilassamento e respirazione; lo scopo è quello di far fluire dentro e fuori l’energia attraverso la gola, destino della testa, e il torace coi polmoni, destino delle emozioni e degli affetti.
Si puo’ affrontare “di petto” e “di gola” la paura, provando a trovare stabilità davanti all’oggetto o alla situazione per noi finte d’ansia. Anche qui, lavorare sul dare spazio, contattando le paure e le credenze eronee e false (ad esempio sui pericoli di contagio ovunque o sui complottismi). Far parlare queste paure, farle “decantare”, in quanto è il “credere” stesso che una situazione ci soffocherà e ci farà male, che ci farà davvero soffocare e strangolare: le paure sono frutto delle credenze o creazioni della mente. Si possono perciò contattare e ascoltare cosa hanno da dire.
– Tachicardia: succede quando il cuore, sede dell’anima corporea e simbolo stesso della vita, “perde il controllo” e pulsa rapido, troppo veloce, come se volesse andare avanti e sfuggire alla situazione (fuga), o altrimenti aumentare l’aggressività contro l’oggetto (attacco). Rimanda a una paura, derivante da un ambiente relazionale insicuro (abitudine di reazione di tipo attacco o fuga) dove il soggetto puo’ essere cresciuto, e dove egli puo’ aver imparato a usare il controllo come adattamento, allo scopo di evitare una perdita o una umiliazione. La sensazione di perdita (del controllo) richiama una perdita (di qualcuno o di qualcosa) che si vuole evitare di ripetere, e in questo modo il controllarne la permanenza.
Qui si puo’ individuare se c’è stata una perdita dolorosa e se sono attuate forme di controllo degli altri e dell’ambiente esterno. Possiamo chiederci “Di cosa ho paura?”, “Cosa risveglia in me questa paura?”. Lo scopo è quello di imparare a non voler controllare gli altri o l’ambiente esterno. Si puo’ iniziare a lavorare sul contatto con le emozioni paurose e sulla loro conoscenza, sul dialogo con esse, per riportarle alla loro normale funzione e armonìa.
– Svenimento: è una reazione fisiologica di “perdita dei sensi”, che ha la funzione di spegnere il dolore e la sua percezione, chiudendo il cancello delle afferenze sensoriali al cervello. Ha il significato del trovarsi di fronte a una sofferenza (o a una minaccia di sofferenza) dalla quale non si vede uscita, dalla quale si vuole fuggire. E’ collegato alla reazione animale di shock e di “freezing” (congelamento) di fronte alla minaccia di morte davanti a un predatore: la paura di morire innesca una reazione automatica che simula la morte per dissuadere il predatore dall’attacco. La paura della morte è estesa anche ai cari e agli affetti, per cui rappresenta anche la paura che essi vengano a mancare (“mi sento mancare”), cioè che muoia qualcuno di vicino al soggetto, e la sua paura di restare solo e di soffrire la perdita, la separazione o l’abbandono.
L’elaborazione puo’ cominciare individuando se c’è stata effettivamente una paura di morire o di una sofferenza acuta. Potete chiedervi “Da cosa fuggo?”, “Chi ho paura di perdere?”, “Chi non voglio che mi abbandoni?”, e perciò lavorare sul significato di questa fuga o abbandono.
– Rabbia: è un’emozione complessa, che si nutre della normale reazione di aggressività e del suo bisogno di essere agita in un modo conforme all’altro. Viene percepita come conflittuale poiché questo spontaneo bisogno viene innescato dalla critica, dalla frustrazione, dell’esasperazione, e in generale da situazioni che sono vissute come negative e avversive nelle relazioni. Letteralmente la rabbia è ciò che “connette a una radice a cui fa capo”, e si riferisce all’impeto dell’istinto che prende il sopravvento sul controllo della ragione. Rappresenta quindi il bisogno di esprimere le proprie radici, le proprie origini, qualora queste non vengano riconosciute. Si prova rabbia quando si ritiene di aver subìto una ingiustizia (in-giusto= “senza ragione”), ovvero quando non viene riconosciuto il proprio motivo, e il proprio bisogno, qualunque esso sia, rimane inespresso. La giustizia infatti rappresenta, a livello inconscio, la costante e perpetua volontà di dare e riconoscere ciò che è dovuto a ciascuno, ovvero il suo stato o bisogno di natura.
Possiamo indagare se percepiamo i nostri bisogni come non riconosciuti, e se alcuni di essi sono rimasti inespressi. Domandarsi quindi quali. Possiamo inoltre iniziare a individuare potenziali ideali dell’io ed eroismi egoici che ci hanno portati a sacrificarci per l’altro, e lavorarli assieme all’analista.
Vi sono inoltre diverse strategie di distensione e dell’utilizzo dell’energia aggressiva in modo assertivo e funzionale a uno scopo utile al soggetto. Sono utili esercizi di rilassamento e meditazione. Le tecniche dello psicodramma analitico e della Gestalt possono rappresentare ottime occasioni di sfogo ed elaborazione della rabbia. Ad esempio, potete chiedervi di ricordare se in passato o nell’infanzia c’è stata una situazione o un evento in particolare in cui avete avuto la stessa rabbia, identificandola poi in un cuscino per affrontarla con la guida del terapeuta.